Il libro di Daniele Arghittu e Mauro D’Eusebio "Valpe, 70 anni di emozioni" (Sanmorì – Industria grafica cartotecnica, pp. 335, euro 25), ben di più di un aggiornamento del precedente Hockey Valpe di una decina d’anni fa, ripercorre la storia della società, e dunque della squadra, ma in realtà fa la storia di quanti le stanno intorno. E sarebbe sbagliato parlare di "pubblico", massa indistinta, accomunata dal fatto di pagare un biglietto per assistere alle partite. No, il popolo-Valpe si sente parte delle vicende della squadra, e la segue con un coinvolgimento se possibile ancora in crescita. Perché intorno alla squadra ci sono affetti, amicizie, passioni di vario genere.
Se si dovesse individuare quale sia la grande novità rispetto alla prima edizione del 1996, oltre ai nuovi capitoli su questi ultimi 11 anni, bisognerebbe citare non le notizie in più, e nemmeno i 50 bei ritratti di giocatori significativi (su cui diremo più avanti), ma soprattutto lo spirito che è cambiato negli autori. L’esplosione del tifo è contagiosa, ci si infiamma a vicenda, ci si esalta e si fa cordoglio quando il destino colpisce duro. L’impressione è che con la stagione scorsa (persa la finale contro il Merano, e perso tragicamente il presidente Ferrando) la passione si sia ancora allargata: gli autori ne hanno tenuto conto (in questo sono da elogiare pubblicamente, perché hanno ricominciato il discorso rivolgendosi anche ai neofiti) e hanno inserito spiegazioni tecniche da un lato, e note più personali sul proprio atteggiamento rispetto all’hockey, che a sua volta è cambiato, e molto: non solo per le cosiddette "nuove interpretazioni arbitrali", non solo per i grandi budget a volte messi in pista in Italia (e spesso altrettanto rapidamente svaniti).
C’è stato l’affermarsi delle tv in abbonamento (Stream e poi Sky) che offrono, senza sbilanciarsi, il campionato di serie A; o Planeta Sport per vedere in chiaro la massima serie russa.
C’è stato Torino 2006, che ha portato nuove persone prima a guardare hockey (anche il femminile, giustamente sostenuto da D’Eusebio); poi, a Torre Pellice, le Universiadi, un mondiale under 20.
C’è stato un nuovo stadio, grande, che ha faticato a entrare nel cuore dei valligiani abituati alle familiari ruvidezze del Filatoio: ora è una sorta di grande casa dove ci si incontra prima e dopo, a lato delle partite, dove vedersi, nonni e bambini, scolaresche.
Il libro richiama un fenomeno tipicamente Valpe: l’alternarsi di squadre formate dagli elementi del vivaio locale a squadre che devono cercare giocatori altrove: sull’angusto mercato italiano, a volte spropositato nei costi; o sul mercato estero, che ti espone a bei rischi ogni volta che tratti un giocatore di cui non sai vita-morte-miracoli (e abitudini). Ora, se è normale che la squadra di un piccolo centro si coccoli i propri "enfants du pays", è anche vero che molti giocatori giunti in valle si sono subito sentiti a casa propria (e non facciamo nomi). Succede così anche altrove, ne abbiamo avuto una conferma anche nella tragedia del povero Darcy Robinson, e abbiamo visto come si sentisse tra amici a Asiago.
Poi c’è l’alternanza dei risultati, la ricorrenza di quelli stentati e degli episodi sfortunati: tanti anni di attività, due vittorie nel campionato cadetto (per ora); una permanenza eroica nella massima serie tra anni 70 e 80, il ritorno nel 1999 (unica volta che l’HCV conquista i play off di A) e poi l’alluvione (cioè la seconda!).
Ma i soldi che vanno e vengono, il vento che gira, non tocca anche gli altri? Sì, certo. La bella stagione in massima serie e poi la scomparsa fino a nuovo ordine? Sì, tocca a molti (l’ultima grande è stata il Varese, ora per fortuna di nuovo in pista dalla C e con le giovanili). Queste caratteristiche possono essere condivise con altre squadre, altre società, altre località di montagna. In valle, e nelle pagine di Arghittu-D’Eusebio, le troviamo insieme, come le troviamo anche in altre manifestazioni di coinvolgimento popolare; con lo stesso spirito, anche se non con la stessa intensità.
Dicevamo dei ritratti di quei 50 "personaggi-Valpe": sono stati privilegiati giocatori che per un motivo o per l’altro hanno segnato un’epoca dell’hockey valpellicese e che hanno avuto caratteristiche umane tali da lasciare il segno. Non forzatamente i "migliori tecnicamente", diceva Arghittu un paio di mesi prima dell’uscita (anche se sarebbe stato difficile prescindere per la Valpe 99-2000 dalla personalità di Marco Scapinello, o dalla generosità di un giovanissimo Enrico Dorigatti, a pieno titolo nella "galleria" insieme a molti rappresentanti dei tempi eroici, quando magari la linea che usciva passava i pochi guanti disponibili ai giocatori che subentravano; anche se sono tanti i nomi della passata stagione, condotta a un livello tecnico elevato). Spiccano emblematicamente, tra i prodotti del vivaio e le mosse azzeccate sul mercato-giocatori, due capitani, ben dipinti nella galleria": Mauro Viglianco e, oggi, Dino Grossi. Qui però siamo nell’attualità e non nella storia.